
Fulvio Mariani, nato a La Chaux-de-Fonds nel 1958, ha sempre espresso un profondo interesse per l’alpinismo e la fotografia. Agli inizi degli anni Ottanta viene assunto come cameraman dalla RSI-Radiotelevisione svizzera.
Lo ritroviamo inoltre nella spedizione del polacco Jerzy Kukuczka (secondo salitore degli ottomila) con «L’anno nero del Serpente». Il ritorno al Cerro Torre coincide
con l’assunzione della parte fotografica nel film di Werner Hergoz «Grido di Pietra».
Un richiamo costante, per Fulvio, fra la catena himalayana e quella patagonica, con puntate anche in realtà d’alta quota più vicine al nostro comparto territoriale: ma spiritualmente il capolavoro emerge nel documentario «La strada per Olmo Lunring», al seguito dei pellegrini che affrontano il percorso verso il Kailas nel Tibet, la montagna sacra dei buddisti. Sempre negli anni Novanta, un altro protagonista del regno degli «ottomila», l’altoatesino Hans Kammerlanden, lo invita come documentarista al seguito della spedizione «Shisha Pagma-Everest», che apre all’alpinismo di altissima quota lo spazio dei concatenamenti.
Scendere dalla cima dei due colossi himalayani con gli sci rappresenta una delle nuove sfide che vengono lanciate laddove l’aria si fa sottile e il rischio si accresce con l’aumentare della quota.
Il fascino del Tibet, della sua popolazione, la presenza cinese, lo scontro etnicoreligioso, la speranza di un popolo che vive sopra i quattromila metri e ha un contatto diretto con l’ignoto. Dall’Himalaya alla Patagonia (1985) per girare il documentario di una impresa che entrerà nella storia dell’alpinismo: quella di Marco Pedrini, autore della salita in giornata del mitico Cerro Torre, «l’Urlo di Pietra».
Nella scia di Marco, Fulvio effettuerà non solo una straordinaria «performance» come operatore alla cinepresa, ma anche come alpinista, uno fra i pochi ad aver raggiunto la cima. I premi raccolti da Cumbre in vari festival lo hanno segnalato internazionalmente, tant’è che Reinhold Messner, il primo salitore di tutti i 14 «ottomila» himalayani, lo ha voluto nella spedizione internazionale alla parete sud del Lhotse, dove Fulvio ha realizzato «200 metri al 21.mo secolo».
Nel 1983 eccolo partecipare alla spedizione svizzero-italiana all’Everest.
Romolo Nottaris lo aveva incluso fra i giovani ticinesi ai quali veniva offerta una opportunità straordinaria: misurarsi con il «tetto del mondo» e recepire, dopo aver fatto esperienze nell’arco alpino, la vastità e la complessità della catena himalayana, con i suoi «ottomila». Addirittura al cospetto del re di questi ultimi, Mariani sarà fra quelli che arriveranno più in alto, oltre i settemila metri.
La spedizione tornerà a casa senza la cima, ma da quell’esperienza Fulvio ricaverà una spinta decisiva: non solo per documentare l’aspetto alpinistico, ma anche per guardare oltre.
Fulvio Mariani come scrittore di montagna lo ritroviamo in «Drammi e diaframmi»,
pubblicato da Corbaccio nel 1987: anche nel modo di scrivere si intravede lo spirito di osservazione, la capacità di «fermare» il discorso su particolari che contestualmente acquistano significati. Non solo riferiti alla montagna, ma anche all’ambiente, alla gente, alle emozioni che quest’ultima trasmette.
L’attrazione per il mondo che va dal basso all’alto la ritroviamo nella serie della RSI «Verticale», diretta, prodotta e realizzata da Fulvio Mariani (1997-1998): un «magazine» per immagini dedicate all’avventura e all’alpinismo.
I più recenti riconoscimenti per il suo lavoro di regista li ha ottenuti in collaborazione
con Mario Casella. Assieme hanno realizzato «Grozny Dreaming», girato nelle repubbliche del Caucaso (in costante stato di tensione, se non di guerra), in un quadro di morte, povertà e disperazione viene ripreso il progetto del musicista tedesco Uwe Bermeker che mette insieme un’orchestra di concertisti, di etnie diverse, che portano un seme di pace nelle zone del conflitto e nei villaggi sperduti».
Il dolore espresso dalla gente «ma anche la speranza di questi musicisti per il futuro della propria terra dove le rose continuano a crescere anche tra le macerie».
Il curriculum professionale di Fulvio Mariani (che nel 1988 ha fondato la Iceberg Film, produttrice di una trentina di documentari negli ultimi anni) è davvero impressionante.